“La psiconcologia è dunque necessaria per garantire alla persona ammalata di tumore e ai suoi familiari una migliore qualità di vita e un’assistenza ottimale, che è un “dovere” della medicina e dell’oncologia e un “diritto” di ogni cittadino”

(https://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/11_ottobre_05/psiconcologia-scheda-luigi-grassi_7d243120-ef81-11e0-a7cb-38398ded3a54.shtml)

Decidere che sarei diventato uno Psicologo è stata una scelta sofferta.

Diventare esperto nel lavoro con la malattia oncologica è stata la scelta migliore che potessi fare per me stesso.

Ho iniziato nel 2007, con il mio secondo tirocinio post universitario. Ho incontrato l’associazione Moby Dick Onlus e mi sono avvicinato al mondo dei malati oncologici e delle loro famiglie.

Ho finito i miei sei mesi e sono rimasto nella casa della balena bianca per qualche tempo ancora come volontario. Poi ho smesso.

L’incontro con la malattia e, successivamente con la morte, è stato troppo per me. In quel momento avevo bisogno di scappare e tenermi il più lontano possibile dalla psicologia e da tutto quel mondo di assistenza e sostegno che faticavo a sopportare.

Sono passati quattro anni prima che mi decidessi a ripartire in un nuovo percorso verso di me. Verso una parte nuova di me. Un viaggio alla scoperta di chi volevo essere.

A settembre del 2012 mi sono iscritto ad una scuola di Psicoterapia, l’IFREP di Roma e nel giugno del 2017 sono diventato Psicoterapeuta Analista Transazionale.

Durante il tirocinio degli anni della scuola sono andato di nuovo a casa. Una nuova casa che sentivo mia e dove mi sentivo comodo. Con l’Almasalus e attraverso il servizio dell’Upog ho potuto incontrare pazienti oncologici al Policlinico Umberto I. Ho potuto entrare nel reparto di Oncologia e nelle stanze di chemioterapia, ho potuto parlare con gli infermieri, con i medici, con i familiari. Ho potuto vedere e sentire la tristezza, la rabbia, la solitudine, il dolore, l’angoscia per una serie di malattie tutte con lo stesso nome ma tutte diverse tra loro: Cancro è una parola sola, ma nasconde un significato prismatico di paura e incredulità, di cordoglio e sospensione, di attesa e fine.

Nel lavoro con le malattie oncologiche ho incontrato molte perdite, meno rispetto all’idea che c’è nell’immaginario collettivo di queste malattie, comunque di perdite ce ne sono state.

Per questo, ho deciso di specializzarmi e proseguire gli studi di aggiornamento sul tema del lutto. Insieme ad una mia docente della scuola di specializzazione e presidente dell’associazione Lutto e Crescita, la dott.ssa Marialuisa De Luca, ho potuto conoscere nuovi modelli di lavoro per stare vicino alle persone che perdono un caro amato. Il modello G&G, il modello duale e quello dei Continuing Bonds hanno in comune ciò che per me è sempre stato fondamentale nel lavoro con chi soffre: la relazione. Instaurare una buona relazione è il primo passo per una buona cura nel lavoro terapeutico, fortificarla nel tempo, consolidarla e dare nuova linfa ogni giorno è ciò che serve per iniziare a stare meglio. Costruire una buona relazione in terapia sembra semplice, non lo è ma lo sembra. Come, allora, soltanto pensare di avere o costruire una relazione con una persona che è morta?

Il nuovo lavoro sul lutto si basa proprio sulla possibilità di considerare il ricordo della persona scomparsa il principio di una nuova relazione. Quella persona è con noi, in una nuova forma, in un nuovo modo di essere, in un pensiero, in un’emozione. Tutto questo non la rende meno reale di un’altra. Il dolore è forte e vivo. Perché non lavorare su una ristrutturazione del ricordo? Perché provare a cancellare, invece che trasformare il dolore del trauma della perdita in un nuova crescita?

Sembra strano detto così, tuttavia io preferisco guardare alla morte come un cambiamento di stato, piuttosto che una cancellazione totale dell’esistenza. Non è un discorso religioso, in terapia tutte le religioni possono essere una risorsa da coltivare, non ce n’è una migliore dell’altra. È un modo di parlare con chi non c’è più, come fanno in Messico in alcuni riti e festività, in Giappone attraverso gli altari (butsodan) o in Italia, per esempio in Sicilia, quando i morti portano i regali ai bambini. Insomma, un modo di vedere la morte non come denigratorio, ma come custode di tradizioni di Stato e familiari. Credo molto nelle teorie della Death Education e faccio di queste uno dei punti principali della mia formazione su quest’aera.

Oltre a ciò, nel percorso di studio e formazione, oltre che di vita e di lavoro, ho incontrato un’associazione che si occupa delle malattie oncologiche dall’altra parte della morte. Gemme Dormienti Onlus si occupa di preservazione e conservazione della fertilità in campo oncologico e delle malattie organiche gravi. Attraverso di loro e la collaborazione con la facoltà di Medicina de La Sapienza di Roma, nel 2019 mi sono specializzato in Oncofertilità, dopo un corso di alta formazione.

Con loro collaboro stabilmente e ho scoperto un mondo fatto di persone e donne (soprattutto) piene di forza e vitalità. Con loro ho capito l’importanza di una buona diagnosi iniziale e quanto sia importante considerare bene ciò che si dice, le parole che si usano. Non dare mai per scontato nulla ed essere pronti a raccogliere le richieste di aiuto tempestivamente.

Ad oggi, devo la mia formazione pratica ed umana anche ad un altro istituto: la Fondazione Nazionale Gigi Ghirotti. Con loro dal 2017 gestisco il Centro di Ascolto telefonico e insieme ad altri colleghi costruiamo sempre progetti nuovi e siamo al servizio del malato e dei familiari. È stato importante aver imparato un protocollo di lavoro telematico, al telefono. È stato importante averlo implementato nel tempo e aver condiviso dubbi e difficoltà con i colleghi.

Ho reimparato l’importanza di avere supporto personale e di sentirsi sostenuti nei momenti di difficoltà e di angoscia. Sono stato in Hospice, a stretto contatto con persone morenti e familiari pieni di dolore, ho visto che si può morire con dignità e senza soffrire. Ho capito l’importanza di un tocco di mano, di uno sguardo e di un “mi dispiace”. Ho visto l’importanza del silenzio condiviso.

Due anni fa, inoltre, sono diventato vicepresidente di una piccola ma tenace associazione Abruzzese che si occupa di Terapie Integrate: Ridésti a.p.s.

Abbiamo attivato dei progetti in alcuni paesi in provincia di L’Aquila: conduco dei gruppi di supporto e sostegno per pazienti oncologici e familiari, gratuiti perché finanziati dai comuni e patrocinati dall’Ordine degli Psicologi Abruzzo.

Il lavoro con i gruppi è un’esperienza forte, faticosa ma appassionante e arricchente. Le persone che partecipano condividono esperienze comuni, pensieri, emozioni. I dolori fisici fanno il palo a quelli emotivi, ma il supporto ed il sostegno del gruppo sono la base sicura alla quale tornare ogni volta.

Dunque, queste sono state le mie esperienze nel vasto campo delle neoplasie, dall’incontro con le persone, agli studi e ai lavori. Ad oggi, più di un decennio e sono sicuro che per il futuro si apriranno nuove strade e nuovi percorsi, perché le malattie oncologiche sono un viaggio, un percorso alla scoperta di nuove possibilità. Sono il ponte che conduce al cambiamento, per stare meglio con sé stessi e con gli altri.