Esistono molti studi su come l’ascolto della musica sia collegato alla produzione di dopamina (anche detto l’ormone del piacere), al cambio di frequenza cardiaca, alla riduzione dello stress, etc.
Altrettanti che indagano la connessione (probabile?) tra musicista e follia partendo dalla genetica.
Qui non voglio affrontare nessuno di questi temi. Solo aprire una riflessione su musica e psicoterapia.
Nella storia di ognuno di noi c’è un momento che parla di musica (o in musica). Mi piacerebbe sapere quante persone possono dire: “io non ho mai ascoltato niente”. Fino ad oggi, io non ne ho mai trovata una e ne sono felice.
Vivere una vita intera senza essersi mai dati la possibilità di prendersi del tempo per ascoltare una voce, una melodia, un riff di chitarra, un assolo di batteria può non essere una gran cosa. Ciò che vorrei fare quando qualcuno mi dice “beh, io la musica la metto in sottofondo” è abbracciarlo e dire: “mi dispiace”. Non come se per quella persona provassi pena, ma perché davvero sarei pervaso da una forte tristezza perché quella persona si sta negando una possibilità. La possibilità di sentirsi felice.
La musica ci lascia il tempo per provare emozioni.
Nella mia esperienza clinica vedo come sia davvero importante parlare e ascoltare insieme note, parole e pause di un brano. Ragionare col cervello e non solo. Darsi la possibilità di sentire il proprio corpo, i cambiamenti che in esso avvengono, quando “suona un pezzo”. Non negarsi la possibilità di stare con Sè in quel momento. Prendere la decisione di rendersi Liberi di provare emozioni e di condividerle. Anche a questo serve la musica, a riappropriarsi della possibilità di stare con l’altro e rendersi capaci di parlare senza giudizio per scoprire affinità o differenze, che possono diventare per noi delle risorse, attraverso le quali darci la possibilità di raggiungere quel cambiamento tanto desiderato.
http://www.biomedicals.it/depressione-efficacia-musicoterapia
http://www.stateofmind.it/2016/04/musica-psiche-psicopatologia/
L’immagine è tratta dal film “Alta Fedeltà” di Stephen Frears, 2000. Tratto dall’omonimo romanzo di Nick Hornby
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