Sabato pomeriggio mi è stato chiesto di dare un contributo sull’emergenza da Corona Virus in Italia: un consiglio sul fare attenzione e su come poter seguire rispettosamente le regole che in questi giorni leggiamo e vediamo spesso in tv e sui social, indirizzato a quelle categorie di persone più fragili come i pazienti oncologici.
Domenica, invece, mi è stato chiesto un parere sui comportamenti migliori da utilizzare per gestire l’ansia e la paura che l’ipotesi di una pandemia nascente genera nelle persone.
Ieri sera è andata in onda la conferenza stampa del Presidente del Consiglio che decreta, da questa mattina, l’Italia intera come Zona Rossa.
In tre giorni, ho iniziato a scrivere e poi cancellato tutto per aggiornarlo ogni volta alle notizie più recenti.
Ho iniziato a riflettere a che tipo di comportamento stessi mettendo in atto e sembrava che anche io mi fossi lasciato trascinare in un luogo ansiogeno e spaventoso dove mi dovevo dar da fare per trovare il più velocemente possibile le parole migliori e le notizie più nuove, dovevo sbrigarmi a rispondere ai messaggi che mi arrivavano e dovevo mettermi fretta nel trovare una soluzione per il lavoro da casa.
L’unica via di uscita nel momento di emergenza mi era sembrato la corsa sfrenata.
Mi sono reso conto che ho fatto quello che gli animali fanno da sempre, ho risposto alla paura attraverso un comportamento di adattamento all’ambiente: la fuga.
Ero spaventato da quel susseguirsi di notizie e avevo para di non farcela e sentivo il forte bisogno di mettermi in salvo. Così, ho messo le gambe in spalla, mi sono rimboccato le maniche e ho iniziato a correre non verso una meta precisa, ma soltanto lontano.
In tutto questo affannarmi non ho considerato però che scappare così in fretta è una risposta che dà un benessere temporaneo e non reale perché ci si stanca e, in natura, nessun animale può correre all’infinito.
C’è bisogno di un posto da raggiungere, c’è bisogno di un luogo caro in cui andare, c’è bisogno di sentirsi al sicuro per potersi prendere il tempo per tornare a respirare.
Continuando a riflettere mi sono chiesto: ma, se mi fermo e mi riposo, potrò pensare a delle soluzioni valide? Potrò trovare le risposte che cerco?
Ho sentito il mio cuore iniziare a battere forte, la gola secca e che si stringeva, le mani hanno iniziato a sudare e mi sono detto che in questa condizione non avrei mai più potuto fare quello che mi avevano chiesto, che non avrei mai più potuto rispondere a nessun messaggio e che mai più sarei stato di aiuto. Mi sono sentito immobilizzato e come un riccio che si chiude in sé stesso nel vano tentativo di salvarsi la vita, mi sono fermato.
Ed ecco un altro comportamento di risposta alla paura: il freezing.
Il rischio, in questo caso, era quello di fermarsi per un tempo indefinito. Non uscire mai più di casa e far fare lo stesso alle persone vicine. In uno schema di svalutazione delle mie e altrui risorse. Ho iniziato a considerare tutto il mondo come orribile e terrificante, volevo controllare tutto e tutti per traci in salvo. Tuttavia, come fa un riccio che si appallottola a non farsi investire dalle ruote di un’auto?
In questo scenario, le parole del Presidente del Consiglio sono diventate un grido di guerra. Tutto si trasforma, tutto si ingrandisce, tutto diventa talmente insopportabile che l’unico modo per poter reagire e proteggersi è saltare alla gola di chiunque si avvicini a più di 4 metri.
L’attacco, ennesimo comportamento di adattamento ad una situazione che appare terrificante e in cui ci sente senza via di scampo.
Il rischio, in questo caso, è di farsi prendere la mano e costruirsi una realtà in cui sono tutti nemici e probabili untori e l’unica via per sopravvivere, è essere in guerra perenne. Ma, cosa accade durante una guerra? Distruzione, feriti e morti. Questo atteggiamento porta con sé più danni che benefici.
Tutto questo è vero in diverse misure. Nel senso che non tutti ci mettiamo in fila al supermercato alle 11 di sera per comprare quella scatoletta di tonno senza la quale siamo sicuri non potremmo vivere. Non tutti ci chiudiamo in casa sbarrando finestre e porte. Non tutti ci affanniamo per correre il più lontano possibile da un virus che abbiamo l’impressione di avere alle calcagna.
Tuttavia, una delle situazioni che sembrano più probabili per fuggire all’ansia e alla paura è quella in cui si può ipervalutare o ipersvalutare una situazione, una persona, un virus e attraverso questo atteggiamento ci possiamo ritrovare in una situazione pericolosa per la nostra salute e per quella delle persone che abbiamo vicino e che ci stanno a cuore.
Come, allora, si può arginare il senso dell’ansia incombente e della paura in un modo più costruttivo per noi e per gli altri?
Non so se esistano regole che possono andar bene per tutti, certo è che le misure di sicurezza che ci chiedono di attuare in questo periodo hanno una loro logica e sono dettate non soltanto dal buonsenso, ma da dati reali e oggettivi che vanno sulla strada del contenimento del virus e, di conseguenza, portano ad una sanificazione dei nostri ambienti.
Pensate ad un paziente oncologico: chi ha un cancro è, realisticamente, più esposto ai malanni stagionali. Le sue difese immunitarie sono più basse di una persona che quella malattia non ce l’ha. Di conseguenza il rischio di prendersi un’influenza nei periodi in cui questa è più presente, è un dato di realtà inconfutabile.
Come ci deve comportare con chi malato di cancro?
Innanzitutto, il cancro è una malattia di sistema, che si riflette su tutta la famiglia, su tutte quelle persone che sono vicine a chi è portatore di quella specifica malattia. Dunque, in questi momenti, meglio usare un po’ più di attenzioni: la mascherina e magari i guanti quando si esce a fare la spesa. Evitare i luoghi troppo affollati, far cambiare aria agli ambienti di casa e utilizzare prodotti per la pulizia igienizzanti e a base di alcool.
Contenere la malattia significa anche confrontarsi con l’altro, ascoltare le sue paure e stargli vicino nel momento del bisogno. Allo stesso modo, darsi la possibilità di poter parlare anche delle proprie ansie e paure. L’angoscia e il dolore hanno bisogno di uscire fuori, anzi, siam noi ad aver bisogno che le nostre angosce e le nostre paure non diventino qualcosa di estraneo e che può controllare le nostre esistenze. Siamo noi che ci spaventiamo e siamo noi che ci angosciamo, siamo noi che possiamo definire noi stessi in tutti i momenti, anche in quelli di pericolo.
Se invece, mettiamo in atto gli atteggiamenti descritti in precedenza, ci esponiamo al rischio di rendersi ancora più soli. Perché ci allontaneremo sempre di più dagli altri, trasformando tutti in untori.
C’è il rischio di spingersi nella solitudine dell’eroe che combatte le battaglie da solo ma che rischia la morte ad ogni dì; quello di rinchiudersi in casa e allontanarsi da ogni tipo di contatto sociale, non parlare più con nessuno.
Cosa fare praticamente?
Parlare, raccontare, descriversi come ho fatto io n queste righe. Lasciarsi la possibilità di farsi vedere farsi consolare. Ricercare le carezze, le coccole, di cui sentiamo di aver bisogno. Essere pronti a regalarne a chi le chiede. Non possiamo stare vicini fisicamente, male videochiamate sono all’ordine del giorno, i servizi di messaggistica istantanea, le chat, lo stesso telefono, sono gli strumenti più pratici per non perdere di vista che è nella vicinanza la nostra vera forza e che possiamo utilizzare la tecnologia a vantaggio della crescita delle nostre relazioni. Possiamo prenderci cura di chi è lontano facendogli sentire la nostra presenza con i nuovi e vecchi mezzi di comunicazione. Non siamo noi a dover guarire chi si ammala, a quello ci pensano i medici, infermieri, il personale sanitario che si sta dando moltissimo da fare.
Noi tutti possiamo arginare il senso di spavento, di ansia e l’angoscia di rimanere soli per sempre e lontani da tutti attraverso quei piccoli gesti di attenzione quotidiana che abbiamo sempre dato per scontato, ma che abbiamo sempre messo in atto.
Pensate a ieri, ad una settimana e a un mese fa e fatevi una domanda: quanti messaggi ho mandato? Quante chiamate ho fatto?
Ci accorgeremo che sappiamo prenderci cura delle persone a cui vogliamo bene e che loro sanno fare altrettanto con noi. Un’emergenza non trasforma il mondo in un luogo oscuro e solitario, perché nel mondo ci siamo noi che possiamo migliorarlo.
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l’immagine di copertina è presa da:
https://www.the-scientist.com/news-opinion/scientist-scrutinize-new-coronavirus-genome-for-answers-67006